Quando è nata la macchina fotografica?
Cosa sarebbe un fotografo senza una macchina fotografica?
Un sognatore senza la possibilità di concretizzare le sue ispirazioni.
È proprio la collisione tra la mente dell’uomo e le capacità della macchina che ha dato vita a un mestiere così particolare, suggestivo, diverso dagli altri e, sicuramente, non per tutti.
Ma chi dobbiamo ringraziare per questa incredibile invenzione?
Dagherrotipia
Inizialmente non c’era la possibilità di poter riprodurre all’infinito una fotografia.
Quello scattato dal fotografo era un momento irripetibile che non avrebbe mai più potuto essere stampato.
Parliamo dell’antica procedura della dagherrotipia, che usava lastre di rame argentato ricoperte di ioduro d’argento per sviluppare le immagini.
L’invenzione risale al 7 Gennaio del 1839, ad opera di Louis Mandé Daguerre: la data si riferisce all’annuncio ufficiale da parte del politico François Jean Dominique Arago all’Accademia di Francia.
Ma ci sono almeno altri due nomi da citare accanto a quello di Daguerre: Joseph Nicéphore Niépce, che collaborò proprio con lui, e William Henry Fox Talbot, un fisico inglese che rimase molto colpito dall’invenzione e che avrebbe fatto di tutto per assicurarsi di avere anche lui un ruolo in questa faccenda… ed infatti così sarà.
Per l’acquisto e la liberalizzazione del dagherrotipo il Re di Francia Luigi Filippo concesse a Daguerre un vitalizio di 6000 franchi e a Niépce figlio, che era subentrato alla morte del padre, uno di 4000.
Talbot ed altri si succedettero nel cercare nuove metodologie ed esperimenti intorno alla realizzazione delle immagini e pare che il nome “fotografia” sia da ricercare nella terminologia usata, già nel 1834, da un certo Antoine Hercule Romuald Florence, di Nizza ma emigrato in Brasile, che ottenne ottimi risultati che, però, non fu in grado di far conoscere al mondo a causa della sua posizione geografica svantaggiata.
In Italia il dagherrotipo venne ufficialmente presentato il 12 Marzo, dal fisico Macedonio Melloni, all’Accademia delle Scienze di Napoli. Il 20 Maggio successivo Samuel Morse, l’inventore del telegrafo, realizzò la prima immagine dagherrotipica oltreoceano.
Insomma, sebbene pare ci sia un “padre”, un nome dietro l’invenzione della fotografia, sono state tante le personalità che si sono succedute nel cercare evoluzioni e nuove soluzioni per quest’arte.
Merito anche del fatto che, dopo soli 3 giorni dal decreto statale firmato dal re di Francia relativo all’acquisto della tecnica, il cognato di Daguerre, che era un ottico, cominciò a vendere i primi apparecchi fotografici: il suo nome era Alphone Giroux.
Il Dagherrotipo
Lo strumento in questione era formato da due scatole di legno che scorrevano l’una dentro l’altra per consentire la messa a fuoco, una fessura per la lastra di rame sul retro e un obiettivo in vetro ed ottone (ovviamente fisso) sul davanti.
Daguerre, una volta ottenuto il vitalizio, si preoccupò, con grande urgenza, di proteggere il suo strumento con un brevetto, di autenticare ogni esemplare con una sua firma (e il marchio di Giroux) e una scritta laterale (“Il Dagherrotipo”). In più, anche il manuale di istruzioni era redatto da lui. Una vera e propria impresa commerciale, come diremmo oggi!
La concorrenza
A metà Agosto, a Parigi, i fratelli Susse realizzarono un altro apparecchio per la dagherrotipia, identico a quello già esistente ma in una nuova versione.
Dopo la messa in commercio dei due apparecchi fotografici venne reso pubblico il procedimento di Daguerre, istigando la risposta di Talbot che, intanto, brevettò la sua personale tecnica, con tanto di mostra a Birmingham.
Pochi mesi dopo, in Italia, e precisamente a Torino, Enrico Jest avviò la produzione dei primi apparecchi fotografici nostrani, traducendo egli stesso il manuale d’uso di Daguerre e iniziando, quindi, quella fase dopo la quale nacquero numerosi laboratori per la produzione di dagherrotipi. A Milano, qualche mese più in là, Alessandro Duroni iniziò l’importazione dei primi apparecchi Daguerre-Giroux.
Quello che nessuno poteva sapere è che il dagherrotipo non poteva avere vita lunga: la sua invenzione fu qualcosa di incredibile ma le performance erano molto limitate. L’immagine era unica, non riproducibile, prodotta direttamente su lastra, con l’inversione destra-sinistra e, tra l’altro, a seconda dell’angolo da cui veniva visualizzata, appariva in positivo o in negativo.
Ci vollero circa 15 anni, però, affinchè il fisico Talbot desse vita ad un metodo alternativo e vincente, quello sul quale si fonda la fotografia che conosciamo oggi: un’immagine riproducibile infinite volte da una sola matrice.
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